Luoghi di Interesse
Ultima modifica 2 aprile 2023
Il Castello e la Torre Normanna
di Giuseppe RIZZUTI
I due nomi del castello di Caltabellotta, che da alcuni è chiamato Conte Luna e da altri della Regina Sibilla (per distinguerlo dall’omologo di Sciacca) derivano: il primo dalla famiglia più importante che, nel corso dei secoli, ne ha detenuto per più tempo la castellania; il secondo da un fatto storico avvenuto all’interno di esso.
Pochi segni rimangono di quella che doveva essere un’inespugnabile roccaforte; solamente un muro, un significativo portale e le fondamenta di alcuni vani resistono alle ingiurie del tempo. Anche se dal punto di vista architettonico poco è conservato, tuttavia è sempre entusiasmante salire lungo la ripida scalinata incastonata nella roccia, che permette di raggiungere la vetta a quota 949, comunemente detta il Pizzo, sulle cui pendici sorgevano le possenti mura dell’antico maniero. Carichi di leggenda e di storia, i pochi ruderi rimasti riescono ancor oggi ad infondere nel visitatore il fascino dell’antico Medioevo.
Là, in alto, lo sguardo del visitatore può spaziare a 360 gradi ed è possibile ammirare uno splendido paesaggio, dall’entroterra siciliano fin dentro il mare africano, che non fa rimpiangere la limitatezza delle strutture castellane. Ci si rende così conto dell’importanza strategica che ebbe fino a quando, negli ultimi secoli del Medioevo, raggiunse il suo massimo splendore.
Da lassù sono facilmente visibili: il castello di Giuliana, per qualche tempo pure dei Peralta; i resti del castello di Cristia, inerpicato su un promontorio sopra l’abitato di S. Carlo (Pa), che nel XIV secolo fu di notevole importanza strategico-militare nelle vicende che insanguinarono la Sicilia di allora; il castello saraceno di Burgio; il castello di Poggiodiana, posto al confine fra il territorio di Caltabellotta e di Ribera, di cui rimangono splendide vestigia e il Castello Luna di Sciacca, appartenuto alla stessa potentissima famiglia.
Il castello di Caltabellotta pare sia stata riedificato nel 1090 all’arrivo dei Normanni. Tale riedificazione pertanto è avvenuta contemporaneamente a quella della chiesa della Madonna della Raccomandata, successivamente dedicata a S. Francesco di Paola, e alla chiesa del Salvatore, ubicata alle pendici del monte, la cui porta originaria era rivolta proprio in direzione del castello.
Aldilà degli aneddoti popolari tramandati oralmente, è storicamente accertato che il castello di Caltabellotta, comunque lo si voglia chiamare, fu il luogo in cui venne ospitata la regina Sibilla e dove risiedeva, preferibilmente, la famiglia Luna al tempo del “Caso di Sciacca”.
Nel 1194, infatti, morto re Tancredi cui successe il figlio Guglielmo III ancora fanciullo, la regina madre Sibilla cercò di organizzare la resistenza nell'isola contro lo svevo Arrigo VI, che avanzava alla conquista del regno di Sicilia e per prima cosa si preoccupò di mettere in salvo il giovane re e le altre tre figlie in questa sicura e inaccessibile rocca.
Essendo il Pizzo un punto preminente rispetto ai territori circostanti e Caltabellotta luogo abitato fin dal tempo dei Sicani, certamente nei millenni sarà stato sempre adibito a posto di vedetta, considerando anche che, in giornate particolarmente favorevoli, è possibile potere osservare, a oriente, l’Etna quando è in attività, l’isola di Pantelleria e un notevolissimo numero di centri abitati.
Vari avvenimenti saranno sicuramente avvenuti all’interno di questo maniero. Secondo alcuni storici si vuole che nel novembre del 1270 sia stato tenuto al suo interno un famoso banchetto da Guido di Dampierre conte di Fiandra il quale, sbarcato a Trapani di ritorno dalla Crociata fatta con re Luigi IX di Francia, che in quell'impresa trovò morte e santità, volle festeggiare i suoi compagni d'arme assieme a re Carlo d'Angiò.
Il nome di questo castello è ricordato anche, in una sua novella, dal Boccaccio (Decamerone giorn. 10.7). In essa si narra che attorno al 1282, la giovane Lisa Puccini invaghitasi perdutamente di re Pietro d'Aragona, quasi a morirne, pregò un valente trovatore di raccontare al re, in versi, la sua pena. Re Pietro commosso da tanto amore si recò da lei, che dalla gioia fu subito guarita, e le diede in sposo il nobile giovane Perdicone e in dote il castello e le terre di Caltabellotta.
Verso la fine del XIII secolo divenne proprietà prima dell’Abate Barresi e poi di Federico di Antiochia; in seguito passò a Raimondo Peralta, che ottenne da Pietro II il titolo di Conte di Caltabellotta, e più tardi a suo figlio Nicolò la cui erede, Margherita, andò in sposa ad Artale Luna. Il maniero rimase alla famiglia Luna per più di due secoli fino al 1673 quando ne divenne castellano Ferdinando d’Aragona Moncada; per successive eredità passò ad Antonio Alvares Toledo duca di Bivona (1754) dopo di che il castello decadde.
La Badia
di Antonino MULE'
Lasciata la piazza Umberto I e salendo per la via Colonnello Vita, si dispiega la tersa facciata della Badia, antico monastero delle benedettine di Santa Maria di Valverde, la cui grande aula, ammodernata e con recente tetto ligneo a capriate, è oggi adibita a sala-mostre.
Lu Pirtusu
di Antonino MULE'
Apertura naturale nella roccia che mette in comunicazione, nella parte più alta, il versante nord con quello sud del paese. Anticamente l’ingresso veniva usato per raggiungere i poderi della vallata settentrionale e per andare ad attingere acqua all’antica fonte di “La Nuvi”.
Il Palazzo Bona
di Giuseppe RIZZUTI
Il più importante palazzo nobiliare di Caltabellotta si affaccia, con un fronte di circa 25 metri, sulla discesa Barone Scunda (dal nome del feudo della famiglia che lo ha detenuto per almeno tre secoli) e nella quale è ubicato l'ingresso principale. Esso si sviluppa quasi integralmente su due elevazioni ad eccezione del lato sud, dove a causa dell'orografia dei luoghi è stato ricavato anche un parziale scantinato. La parte basamentale ha un andamento a zigurrat, con cantonali in pietra squadrata di probabile origine tre/quattrocentesca.
Nei secoli successivi il palazzo ha avuto una serie di adeguamenti alle varie esigenze dei proprietari e dei tempi che cambiavano. Fu riedificato, sull'impianto originario preesistente nella seconda metà del Settecento e completato nei prospetti nei primi anni dell'Ottocento. Salvo lievi rimaneggiamenti novecenteschi, l'edificio conserva pressoché intatte le caratteristiche architettoniche originarie. Dall'atrio interno è possibile accedere al Piano Nobile che è costituito da 24 stanze molto ampie. Prima di essere smantellato da vandali, il pavimento era rivestito con mattoni di cotto smaltato e le volte delle stanze adibite ad abitazione erano dipinte. Questa breve descrizione l’abbiamo voluto dare per far rendere conto a chi ci legge e a chi non lo ha mai visitato che ci troviamo di fronte ad un complesso architettonico di tutto rispetto.
Alcuni documenti ritrovati recentemente dalla studiosa saccense Angioletta Scandaliato (in via di pubblicazione e in aggiunta a quelli già noti) attestano inconfutabilmente che in quel sito esisteva un “palacho comitale” con cortile interno appartenente alla famiglia Luna. Nel 1462 (anno a cui fa riferimento il primo documento) era conte di Caltabellotta Antonio de Luna.
Si ha ragione di credere quindi che la parte basamentale del palazzo Bona, unica casa signorile con corte interna di tutto il centro storico, possa essere quella del primo impianto del vero Castello Luna.
Se si riuscisse a fare un restauro dell’intero complesso e se si potessero, quindi, fare dei saggi diretti sulle fondazioni, sul materiale lapideo e sulle strutture in modo di poter accertare di fatto quanto già asserito dai documenti ritrovati, si potrebbe avere la certezza assoluta. In ogni caso questi documenti (provenienti dagli archivi dell’Inquisizione) sono una scoperta non da poco per la storia di Caltabellotta.
La famiglia Bona, le cui origini risalgono ai primi anni del XV sec., come risulta dagli archivi e dai registri della Regia Cancelleria del protonotariato del regno, è una delle più antiche e nobili di Caltabellotta, dove essa si insediò sin dai primi anni deI ‘600.
I suoi possedimenti erano molto vasti e tra essi spiccava il feudo di Scunda, alias Realmaimone, dal quale prese nome il baronato. I membri del casato parteciparono sempre attivamente alla vita pubblica della comunità caltabellottese e alcuni di essi ricoprirono la carica di Sindaco.
L'ultimo discendente maschio, invece, il barone Emanuele (morto nel 1967) si dedicò a tutt’altro. Ebbe solo due figlie e con lui si estinse il cognome.
Trasferitosi definitivamente a Palermo nel 1954, il palazzo non fu più abitato da membri della famiglia, lasciando il tutto in mano ad amministratori e campieri. Fin d’allora cominciarono ad essere evidenti i segni dell'incuria e dell'abbandono.
Classica figura di feudatario ottocentesco, il Barone Bona, non recepì il mutare dei tempi e quindi si lasciò travolgere dal sopraggiungere inesorabile del progresso.
Dopo il suo trasferimento quei locali che un tempo pullularono di vita, da mezzo secolo languono in un malinconico degrado.
Gli ultimi eredi della famiglia farebbero bene a cederlo gratuitamente al comune, quasi a parziale risarcimento di quanto non fatto per Caltabellotta nell’ultimo mezzo secolo.
Si può dire tuttavia che il Palazzo Bona è un complesso architettonico di notevole interesse storico - architettonico, che ha bisogno di grandi cure e di grossi investimenti, ma che merita di essere salvato. Un suo riutilizzo a fini sociali lo farebbe ritornare al centro dell'interesse della comunità caltabellottese.
Il Castello vecchio
di Antonino MULE'
Ruderi delle antiche fortificazioni degli schiavi ribelli.
La Scuola di Elementare Sant'Agostino
di Giuseppe RIZZUTI
Vaghe e incerte sono le notizie storiche sulla fondazione in Caltabellotta del convento di S. Agostino, facente parte del grande complesso monumentale composto oggi, oltre che dalla chiesa omonima (1742) e dall’annessa ex chiesa di S. Lorenzo (XV sec.), dall’attuale Scuola Elementare S. Agostino, edificata agli inizi dell’era fascista al suo posto.
Da fonti storiche si sa che gli Agostiniani giunsero a Caltabellotta nell’anno 1154 provenienti dal vicino Eremo di Montevergine in S. Anna, luogo in cui sorgeva la seconda Triocala, e nel quale probabilmente erano giunti in epoca imprecisata fra il 493 ed il 700 dal nord Africa dove era nato, vissuto e morto S. Agostino, fondatore del loro ordine religioso, a seguito delle persecuzioni dei Vandali.
Il Convento di S. Agostino, chiamato anche convento dell’Annunziata fu il dodicesimo fondato dai padri Agostiniani in Sicilia. Esso si è conservato, nella sua interezza, fin verso la fine degli anni venti anni del ‘900. All’inizio del ventennio fascista fu parzialmente demolito per dare luogo alla maestosa fabbrica attualmente esistente costruita ed utilizzata come Scuola Elementare, che è la parte di cui ci occuperemo in questa sede.
Rimane dell’antica struttura quattrocentesca una parte inglobata nell’ex Chiesa di S. Lorenzo e una parte di vestibolo che dava accesso all’antico loggiato ed alla chiesa retrostante (dell’Annunziata?), di cui esistono solo vestigia, sicuramente preesistente all’attuale, quasi certamente coeva o precedente all’antico monastero.
All’inizio dell’era fascista, a Caltabellotta non esistevano altri locali idonei utilizzabili ad uso scolastico, tranne quelli del Collegio, e nell’ottica dell’epoca è stata demolita la struttura quattrocentesca, probabilmente in cattivo stato di conservazione, per fare posto all’attuale imponente organismo in puro stile “littorio”.
Come per tutti i conventi, gli agostiniani avevano scelto una posizione dominante sul territorio circostante, e quindi questo complesso architettonico è favorito da una collocazione panoramica privilegiata, facendo bella mostra di sè al visitatore che vi arriva da sud o anche da ovest.
Composto anche dalle chiese di S. Lorenzo e di S. Agostino, da cui appunto prende il nome, è sicuramente una delle strutture più prestigiose della cittadina montana. Anche se in posizione periferica rispetto al centro urbano è ben collegata con esso attraverso una delle più importanti arterie viarie cittadine.
La “Scuola Elementare S. Agostino” si presenta invece con una pianta regolare distribuita su due elevazioni con scala interna a tre rampe e con un ampio cortile esterno. E’ racchiusa, ad ovest fra il retro della settecentesca Chiesa di S. Agostino ed i resti quattrocenteschi dell’antico monastero, a nord-est dal basamento del muro di contenimento della villa comunale.
Dalla lettura dei prospetti, di gusto eclettico e quasi classicheggiante, si possono cogliere i principi ispiratori dell’architettura dell’epoca: il singolo edificio monumentale di tono trionfalistico che il regime richiedeva “facendolo giganteggiare nella necessaria solitudine”.
Conservatore, come tutte le dittature di ogni tempo, il fascismo, ad opere innovative che sottintendevano fermenti di libertà, preferiva architetture tradizionali, soprattutto quelle che si rifacevano genericamente al classicismo, sia perché questo significava ordine, sia per il richiamo alla Roma dei Cesari, tanto più sentito ed enfatizzato da un regime che sosteneva di voler ridare all’Italia un ruolo dominante e riportare l’Urbe al livello imperiale di caput mundi.
La fabbrica, unica dell’epoca nel suo genere, “giganteggia” infatti sulla edilizia minore che la circonda e possiede una compatta cortina muraria di materiale lapideo, quasi certamente realizzata da lapicidi locali, un tempo numerosi a Caltabellotta, essendovi in loco diverse cave di pietra calcarea.
Il prospetto principale è bucato da due ordini di finestre, dodici per piano, tre per ogni aula e da un portale di ingresso importante, sovrastato da un balcone in pietra finemente scolpito, al di sotto del quale campeggia l’emblema comunale intercalato da due “fasci littori”.
Sequenze di alte paraste in pietra bugnata includono gruppi di sei finestre delimitate al piano terra da piedritti leggermente aggettanti e piattabande a sesto ribassato con concio di chiave emergente dalla specchiatura.
Tutta l’area basamentale è intervallata da una cornice sempre in pietra che racchiude spazi rifiniti ad “opus reticularum” e a disegni geometrici sagomati agli apici di un rettangolo in lieve sporgenza.
Le finestre del 1° ordine sono invece sormontate da una semplice piattabanda in pietra con gola leggermente aggettante, con due pronunciamenti a “punta di diamante” nell’area basamentale.
L’edificio raggiunge il massimo della monumentalità, nella mezzeria della facciata, dove due paraste in aggetto, lavorate a finto bugnato, inglobano il portone d’ingresso a doppia altezza e il solenne “balcone” portato da due mensole fortemente stilizzate ai cui lati si inseriscono due volute con contorni a “greca”, rivisitati secondo gli stilemi e il gusto del tempo.
L’area sommitale è conclusa da un leggero cornicione sagomato, ripartito dalla lunghe paraste che svettano oltre la linea dell’attico: quella centrale, incorpora un occhio in pietra a triplo rincasso, sormontato da un concio di chiave introdotto a forza nella circonferenza lapidea delimitata da due greche con aggettivazioni classiche.
Alcune manomissioni alla struttura, sia interne che esterne, apportate negli ultimi anni, come la sostituzione delle vecchie finestre lignee con serrande plastificate, dell’originario portone principale con un infisso in alluminio anodizzato, nonché alcuni “rifacimenti” dei retroprospetti hanno suggerito alla Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento l’apposizione del vincolo diretto sulla struttura a norma della ex legge 1089/39 (oggi Decreto Legislativo n. 42/2004) onde potere conservare nella sua interezza l’imponente struttura monumentale, splendido esempio di architettura del Littorio della Sicilia occidentale.
La Villa comunale
di Antonino MULE'
Anticamente giardino dei frati Carmelitani della Chiesa di Sant'Agostino, attualmente è l'area verde di Caltabellotta, dove sono presenti numerose specie di flora e fauna. Interessante è il monumento dei caduti che ivi si trova.
Collegio di Santa Maria del Fervore (Fraz. Sant'Anna)
di Antonino MULE'
Complesso di edificio gestito dalle suore dedite a Santa Maria del Fervore, che sorge nella fraz. di Sant'Anna.
Piazza Fontana (Fraz. Sant'Anna)
di Antonino MULE'
Piazza centrale della fraz. di Sant'Anna, dove si svolge la vita sociale del centro omonimo.
Castello di Poggio Diana (C/da Poggiodiana - Ribera)
di Giuseppe RIZZUTI
Il Castello di Poggiodiana rappresenta una testimonianza sicuramente importante e per certi versi unica dell'architettura civile e militare del Medioevo. Abbarbicato su di una altura molto vicina alla cittadina di Ribera, si erge su di uno strapiombo al cui piede scorre il fiume Verdura. Luogo impervio per la quasi totale assenza di vie di accesso, è anche difficile da apprezzare a distanza, in quanto l’altitudine del promontorio su cui è posto è poco elevata, benché sia dominante rispetto alle aree immediatamente circostanti.
Il tutto è inserito fra due costoni rocciosi che appena lo sovrastano, per cui dalla provinciale che da Ribera va verso S. Anna, in contrada Martusa, si può solo intravederne qualche brano sulla destra, attraverso le chiome degli alberi di un recente rimboschimento. Se vi si rivolge lo sguardo da sud-est, venendo da Agrigento, non si riesce ad ammirarlo in tutta la sua maestosità confondendosi nel colore e nella forma con l’ ambiente circostante. Bisogna risalire invece lungo il corso del Verdura per restare affascinati dalla vista dei suoi ruderi maestosi svettanti verso il cielo. Anche se il colpevole abbandono degli uomini aggiunto alle ingiurie del tempo ne hanno fortemente mutilato le strutture, tuttavia la vista di quelle compagini murarie fino a qualche anno fa malferme e pericolanti, ma maestosamente inerpicate sul promontorio fa tornare la mente del visitatore indietro di molti secoli, a quando cioè cavalieri e dame del Medioevo avevano dimora in quella roccaforte, da tutti chiamata Poggiodiana (seppure avvolta nel mistero delle sue origini storiche). Questa sensazione non si avverte solamente per l'alone di magia che avvolge generalmente gli antichi manieri, ma soprattutto per le confuse notizie che riguardano la sua fondazione e il modo in cui le sue strutture siano state più volte trasformate nel tempo.
Le due diverse denominazioni che si avevano per un solo sito, cioè Misilcassim, nome di chiara origine araba, e l’attuale nome Poggiodiana avevano tratto in inganno nel passato non pochi studiosi tanto che più d’uno aveva pensato che ai due diversi nomi corrispondessero altrettante strutture: alla seconda la nostra e alla prima non si sapeva che cosa. Lo storico saccense Ignazio Scaturro affermò invece che Misilcassim e Poggiodiana non erano altro che due nomi per un'unica struttura architettonica.
Il dilemma è stato risolto dallo studio fatto da due studiosi riberesi alcuni anni addietro, Raimondo Lentini e Giuseppe Scaturro, che hanno raccolto in un testo molto ben fatto le loro conclusioni.
Si può leggere appunto nella prefazione al loro studio:"…La ricerca di archivio permette...di provare definitivamente che Misilcassim e Poggiodiana sono due toponimi relativi a due distinte fasi della vita di uno stesso insediamento. Il casale e la torre che le fonti del XIV e XV secolo chiamano Misilcassim (un toponimo arabo che rimanda, evidentemente, almeno al XII secolo), verranno sostituiti nella seconda metà del XVI secolo da un grande castello residenziale. Il nuovo toponimo, cortese e toscaneggiante, sarà scelto in onore di una Diana Moncada, moglie di Giovanni Vincenzo de Luna, feudatario del luogo, o forse di un'altra nobil donna della famiglia de Luna, anch'essa di nome Diana."
Vale la pena di ricordare che la ristrutturazione avuta dal castello nel XIV secolo è avvenuta ad opera di Raimondo Peralta in contemporanea alla costruzione del Castello di Sciacca comunemente chiamato Luna, probabilmente utilizzando la medesima manodopera. I due studiosi asseriscono anche che il nostro è uno dei pochi esempi di castelli che hanno subito una ristrutturazione in epoca rinascimentale, quindi in epoca successiva al medioevo, cosa che raramente è avvenuta in altri castelli siciliani, i quali in massima parte cadranno in abbandono seguendo il decadere dei loro feudatari “politicamente inquadrati e militarmente superflui nel contesto della Sicilia viceregia. L'obsolescenza e la rovina cominciarono quindi prestissimo per molti fortilizi medievali dell'Isola.”
Si è certi invece che il castello di Poggiodiana, utilizzato fino a tutto XVII secolo, invece, abbia ricevuto continui interventi di restauro e manutenzione fino a quell’epoca. Si pensa quindi che possa essere stato abbandonato alla fine del Seicento, forse in seguito a danni eventualmente subiti a causa del sisma del 1693, che lo avrebbe danneggiato irrimediabilmente.
Fin qui lo studio, ma tornando alle nostre considerazioni possiamo dire che negli anni scorsi si era sempre sentito parlare di questo castello, solamente e giustamente, in termini di abbandono e di degrado; varie petizioni sono state rivolte da diverse organizzazioni culturali sia verso le istituzioni che verso gli organismi di tutela, i quali peraltro non erano mai potuti intervenire in quanto la struttura è di proprietà privata.
Per la verità neanche il Comune di Ribera, nel cui territorio sorge il castello e ne costituisce anche il suo emblema, si era mai occupato più di tanto per acquisirlo in qualche modo considerando che la struttura è stata oggetto di un passaggio di proprietà fra privati negli ultimi venti anni e pare a cifre non folli.
Tale Riccardo Scrott con residenza nel padovano - oggi scomparso - assieme a gente della zona, l’hanno acquistato alcuni anni fa lasciandolo però nel colpevole abbandono. Tuttavia a seguito del recepimento da parte della Regione Siciliana del DPR 368/94 la Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento aveva potuto iniziare le procedure per sostituirsi ai proprietari inadempienti, procedure che sono state avviate e che oggi hanno portato al restauro del castello.