Chiese e Luoghi di Culto

Ultima modifica 2 aprile 2023

Chiesa e Convento di San Pellegrino
di Antonino MULE'

Aggirando l'alta rupe, si raggiunge un belvedere, donde una scalinata porta all'eremo di San Pellegrino, massiccio edificio conventuale oggi in stato di agonia, che si allunga fra le rocce, nella essenzialità della compatta scatola costruttiva: venne ampliato, su una originaria fondazione normanna, nel Settecento, nel sito in cui la leggenda colloca la vicenda del trionfo del santo vescovo sul drago divoratore, del quale in un anfratto della sottostante grotta, sede originaria del culto di San Pellegrino, e forse sua antica di­mora, si indica il pietroso giaciglio. È l'adiacente chiesa il prodotto artisticamente più interessante: scandisce la bella facciata (1721) un linguaggio di raffinate euritmie barocche, che si esaltano nella composita membratura del portale con ridondante fastigio e nella plastica mostra dell'ornato rosone ottagonale; all'interno, da vedere il settecentesco simulacro ligneo di San Pellegrino (va in processione il 18 agosto) e una marmorea statua del Santo, datata 1755. L'Eremo, edificato nel XVII secolo, è sito nella parte più alta del monte omonimo e insieme alla piccola chiesa attigua, costituisce un complesso omogeneo. Durante il XVIII secolo tutto il complesso venne ristrutturato e ampliato dall'eremita Stefano Montalbano. La chiesetta presenta uno splendido portale in stile barocco impreziosito da un medaglione decorato. Percorrendo un atrio che si trova a sinistra della chiesa, si accede a due profonde grotte che nel tempo furono adibite a veri e propri santuari. Le grotte, legate al culto del mitico San Pellegrino, vescovo di Triocala, custodiscono diversi e splendidi affreschi, nicchie e suppellettili appartenuti, secondo la leggenda, allo stesso. Vi sono conservati pure due pannelli di maiolica risalenti al 1579 e al 1608. Splendida è la vista panoramica di cui si può godere appena fuori dall'Eremo, che spazia su tutta la fertile vallata sottostante.


Chiesa della Madrice (Cattedrale)
di Giuseppe RIZZUTI

Le prime notizie sulla Chiesa Madre di Caltabellotta provengono dal Nicotra, che racconta: Avendo Ruggero normanno sin dal 1061 tolta quasi tutta l'isola al dominio saraceno, nel 1090 si portò sotto Caltabellotta, che tenevasi ancora da costoro. Al di lui appressarsi gli uscirono incontro gli abitanti ed attaccarono battaglia nel sito ove fu Triocala, ma bencbé superiori di numero ai normanni furono con molto danno costretti a ritirarsi nel castello, ove strettamente assediati e forzati dalla fame si arresero.Nel luogo ove vinse la battaglia, Ruggero volle fosse eretto un tempio che dedicò a S. Giorgio, elettosi a suo speciale protettore.Nel diploma del 1098 risulta che il tempio fu dato in cura ai padri basiliani, assegnando loro quella stessa campagna, ove con pochi cavalli sbaragliò e costrinse a ritirarsi i saraceni.Il re Ruggero, figlio del conte, assegnò nel 1134 il beneficio al monastero grande del Salvatore di Messina. Il re Alfonso D'Aragona lo assegnò in seguito ai conti di Caltabellotta. Queste sono le prime notizie sull'esistenza di un edificio destinato al culto cattolico, ma è caratterizzante la scelta del luogo, marginale rispetto al paese, a differenza della maggior parte degli insediamenti abitativi di ogni epoca dove la chiesa Madre è sempre ubicata in posizione centrale. Al di là di quanto riportato nel famoso diploma del 1098, va considerata la morfologia del luogo, con particolare attenzione alla rupe Gogàla. Questo monte, chiamato anche Matrice dai residenti, reca evidenti tracce di un antico insediamento con fondamenta quadrangolari di case scavate nella roccia, gradini intagliati, tombe e cisterne. E' chiaramente visibile un sistema di canalette per convogliare le acque piovane nelle cisterne, solitamente scavate all'interno delle case. La viabilità è costituita da strade strette, scavate nella roccia e l'insieme rivela una pianificazione urbanistica unitaria ed intensiva. Sul versante meridionale, la torre quadrangolare detta Galofara, presenta una tessitura muraria che per la dimensione e disposizione dei conci farebbe pensare ad una costruzione di epoca bizantina. Gruppi di tombe isolate ai margini delle zone abitate, e delle quali è rimasto solo il contorno all'interno di un'area definita, fanno pensare all'esistenza di piccole chiese cimiteriali e, la accertata sacralità del luogo, concorre a giustificare la fondazione della Chiesa Madre. Risulta che nel 1 sec. d.C., Tríocala fu sede vescovile e il primo vescovo fu San Pellegrino, nato a Lucca di Grecia e mandato in Sicilia dall'apostolo Pietro assieme a Massimo e Marciano. E' interessante sottolineare quanto dice Giustolisi in relazione al culto di San Pellegrino, venerato nella chiesa sull'omonimo monte, dove permangono tracce di architettura normanna e successivi interventi del XVIII sec. il manufatto è costruito in aderenza a due caverne in parte scavate artificialmente e sicuramente luogo di culto antichissimo di una divinità pagana, laddove è immaginabile una continuità d'uso dalla preistoria ad oggi. Il permanere della sacralità del luogo in epoche e civiltà diverse non si limiterebbe al Santuario di S. Pellegrino, ma è verosimile si verifichi anche per la Chiesa Madre di Caltabellotta. L'ipotesi trova conferma nel fatto che il luogo di culto si trova nel contesto dell'abitato cristiano-bizantino laddove, per altro, doveva anche preesistere un'antichissima devozione pagana. La devozione a S. Marta sarebbe quindi la persistenza popolare dell'adattamento che subì il culto pagano nella primitiva chiesa cristiana.Sotto la chiesa Madre, dove sgorgava fino a qualche tempo fa una sorgente - fatto notevole per lo stabilirsi della sacralità del luogo - sono state rinvenute delle tombe che secondo j. Schubring sono romane, con scheletri di alcuni inumati che, a dire dei popolani, avevano una monetina in bocca. Il perdurare della destinazione ad area sacra deve essere avvenuto anche durante tutto il periodo della dominazione araba. I musulmani infatti non disdegnarono di trasformare in moschee le preesistenti chiese cristiane, o edificare i loro luoghi di culto (un esempio è la cattedrale di Palermo) nello stesso sito delle chiese cristiane precedentemente demolite, sia per sovrapporre la loro cultura e tradizione religiosa a quella dei vinti, sia per affermare inequivocabilmente il loro potere. Non deve meravigliare la scelta poi di Ruggero, sulla ubicazione della chiesa, perchè la cancellazione delle moschee aveva il medesimo significato anche per i nuovi conquistatori normanni. Dopo il regno di Ruggero, caratterizzato da numerose costruzioni sia civili che religiose, per la mutevolezza delle condizioni politiche e i disaccordi tra il potere temporale e quello spirituale l'architettura chiesastica siciliana ebbe un periodo di stasi che durerà fino alla fine del XIV secolo, quando inizia il governo stabile degli aragonesi. I pochi monumenti rimasti di questo periodo, pur riprendendo gli schemi planimetrici delle costruzioni arabo normanne, raggiunsero una completa unità di linguaggio architettonico ' essendo venute meno le influenze arabe che avevano caratterizzato i secoli precedenti.Si assiste così all'abbandono delle cupole islamiche poste a copertura sia della nave che dei campanili, ed i soffitti lignei a stalattiti cedono il posto a quelli più semplici, ma non per questo meno suggestivi, con l'orditura a vista, mentre le decorazioni cominciano a risentire l'influsso delle correnti nordiche importate dalle maestranze tedesche giunte al seguito della corte imperiale. L'articolazione della pianta, abbandonata da tempo la croce greca, si svolge secondo lo schema basilicale a tre navate con transetto; e l'adozione di questo impianto dà la possibilità di costruire un numero maggiore di altari e quindi anche di soddisfare l'esigenza della cripta sotto il transetto. Nasce così un organismo architettonico, variamente articolato, che offre diverse visuali spaziali, oltre alla possibilità di avere all'interno della chiesa spazi destinati a più funzioni. L'edificio religioso non ha infatti l'uso esclusivamente ecclesiastico a cui oggi siamo abituati: la chiesa come istituzione non è ancora un potere ben determinato e l'interferenza tra potere statale ed ecclesiastico avrà come effetto finale la lotta per le investiture. Agli organismi chiesastici non sono estranee neanche le funzioni difensive: sorgono così grandi complessi religiosi al limite della città murata, quasi sempre in posizione sopraelevata rispetto al territorio circostante le cui torri collegate visivamente con le altre sparse nel territorio e all'interno della città. Un aspetto non sufficientemente indagato è quello relativo alla semasiologia (teoria del significato) dell'architettura religiosa.In questo periodo storico, nonostante il duplice aspetto spirituale e temporale ' la progettazione degli organismi religiosi è improntata essenzialmente all'esaltazione spirituale. Sorgono edifici con dodici colonne, a ricordo dei dodici apostoli che sono appunto i sostegni della chiesa; la pianta cruciforme rappresenta la croce di Cristo, mentre il massimo della esasperazione progettuale improntata a certe ideologie si raggiunge col piegare l'asse longitudinale di alcune chiese, a simbolo della testa inclinata di Gesù sulla croce, mentre la sovranità celeste viene rappresentata attraverso l'arco per accedere all'abside arrotondata, coperta da una volta.Si riconosce comunque il gusto ereditato dagli arabi, ed assimilato dagli architetti locali, per le cortine murarie eseguite con piccoli conci di pietra perfettamente squadrati e ammorsati: l'amore per tale perfetta stereotomia resta a lungo nell'animo dei progettisti isolani, fino a quando l'indisponibilità di manodopera adeguata non li fa ripiegare su tecniche diverse. Derivano da questa maniera di concepire il paramento murario mirabili esempi di architettura in cui il colore e la struttura della pietra determinano insieme il carattere delle costrizioni. Per la prima volta si costruiscono fondazioni isolate per i pilastri, mentre quelle della muratura sono continue. Gli archi vengono eretti con l'impiego di una centina e richiedono murature di grande spessore per assorbire le spinte o i carichi indotti. Nella cortina muraria si realizzano aperture e vi si inseriscono colonne, archi e volte per soddisfare un equilibrio statico di nuova complessità. il pavimento della chiesa dell'epoca ha un'importanza ancora maggiore di oggi, in quanto libero da sedie e panche, anche se è spesso estremamente semplice: in lastre di pietra o in mattoni, sempre in armonia con il carattere della costruzione. Non mancano comunque pavimentazioni ricche di intarsi che vanno dal semplice disegno geometrico a più complesse composizioni figurative racchiuse entro comparii incorniciati. Venuta meno l'influenza arabo-bizantina, la decorazione si manifesta soprattutto nell'espressività formale del capitello, a trapezio, a calice godrons di derivazione normanna, in cui foglie ornamentali, forme anticheggianti ed elementi figurativi, appaiono come retaggio di un mondo culturale più antico.La decorazione esterna fonda principalmente sui portali, evidenziati da una serie di archi acuti realizzati secondo piani diversi e terminanti su capitelli riccamente scolpiti.Nel quadro dell' architettura di questo periodo la Chiesa Madre di Caltabellotta è la tessera di un mosaico che si presenta mutilato e alterato in gran parte del suo disegno globale. Una descrizione tratta dal Nicotra nel suo dizionario dei comuni siciliani dei 1907: Fra le opere pregevoli per l'antichità notasi questa chiesa che molti hanno creduto fosse stata moschea dei saraceni, ed altri con più probabilità dicono fosse quel magnifico tempio a doppio ordine di colonne, di cui parla il Malaterra, fatto innalzare dal conte Ruggero, in onore di S. Giorgio, in seguito alla vittoria ivi portata sui Saraceni. Sulle colonne a grandi dischi di pietra, sovrapposti vedonsi ancora degli affreschi molto primitivi e rovinati dall'umido. La parte di fondo, vicina all'altare maggiore è stata trasformata nel secolo XVI a stile toscano.In essa vi è una fonte di acqua benedetta, situata alla parte posteriore con iscrizioni arabe e segni cristiani. Nella cappella della Madonna della Catena esistono pregiate statue, eseguite nel 1598 dal giulianese Antonio Ferraro. Peccato che tale cappella - racconta il Di Marzo - sia oggi tutta in rovina e nulla più tra poco si troverà di quel tanto, che ancor oggi rimane delle opere del Giulianese, ove non vi si rechi pronto riparo. L'arco esteriore fiancheggiato da due colonne ornatíssime, ha tuttavia al di sopra, fra due maestose figure o statue di lsaia e Geremia, un bellissimo gruppo dell'Assunta con grande corteggio di angeli in svariate attitudini di invincibile grazia e vaghezza. Le Madonne con bambino del 1596 attribuite ad Antonello Gagini testimoniano quel manierismo siciliano, le cui note stilistiche sono al pari e contemporanee a quelle più alte della cultura d'avanguardia del tempo.La cappella del gíulianese è invece una delle ultime composizioni realizzate dal Maestro ed è da considerarsi una delle opere testamentarie più complete dove pittura, scultura e architettura si fondono per dare vita ad una complessa armonia fatta di alternanze di pieni e vuoti, di ritmi simmetrici e precari equilibri compositivi. La chiesa è a tre navate, con una serie di cappelle sul lato sinistro di chi entra. Robusti pilastri cilindrici e semiottagonali lateralmente sorreggono semplicissimi capitelli, composti da elementi essenziali: un abaco, sotto un tegolino e uno schiacciato toro semicircolare.Gli archi sia longitudinali che trasversali, formano veri diaframmi lungo la nave centrale, e sono a sesto acuto, dal profilo variabilissimo, dovuto agli assestamenti subiti nei secoli. Sono anche ben evidenti i diversi momenti stilistici all'esterno, come nel portale principale dove il varco archiacuto è sottolineato dalle asciutte ed essenziali membrature e da disadorni bastoni che ne determinano le molteplici ghiere, e che continuano negli spigoli dei piedritti. I capitelli fitomorfi, estremamente stilizzati, dettifiori a chiodo, si possono datare alla seconda metà del XIII secolo.Il paramento murario di facciata, corrispondente alla navata centrale, è costituito da una fodera dalla listatura isodoma non facilmente databile rivelata dal parziale crollo dei conci di paramento, interessanti anche parzialmente il portale, dopo il sisma del 1968.La muratura di quasi tutto il complesso è un misto tra murature pseudo isodome, di pezzatura piuttosto regolare e di conci ben lavorati e squadrati, mente trasformato, all'interno di tipica matrice normanna, ma anche araba. La torre presenta anch'essa una tessitura muraria perfettamente isodoma, ed è chiaramente riferibile al primo periodo normanno, ipotesi avvalorata anche dal nudo disegno della ghiera del piccolo portale d'ingresso. Aldilà del diaframma costruito nel 1968 dopo i gravi danni subiti dall'edificio a causa del sisma, si sono potuti osservare dall'esterno i resti di altre cappelle che originariamente dovevano essere inscritte entro archi lanceolati, ricoperti da stucchi nella fase di trasformazione del XVII secolo. La pianta è stata completata, nelle parti inaccessibili, da un rilievo degli anni trenta attraverso il quale si sono potuti individuare, anche dall'esterno, i resti dell'antico transetto, profonda del quale si possono intravedere le colonne che ne marcavano il disegno. All'interno della chiesa si trovano senza precisa destinazione, due pregevolissime Madonne con Bambino, di scuola gaginesca, di rarissima fattura, in perfetto stato di conservazione. Nella quarta cappella vi è la statua marmorea di un santo vescovo, da attribuirsi alla stessa scuola. Sulla navata laterale ovest, si aprono due porte di cui una murata, corrispondente all'esterno con un pregevole portale dall'inconfondibile disegno della prima metà del XII secolo. Il secondo portale visibile solo dall'esterno, nella parte isolata dal muro di chiusura, presenta una ghiera contornata da elementi lapidei a punta di diamante.


Chiesa del San Salvatore
di Giuseppe RIZZUTI

La Chiesa del Salvatore è collocata ad Ovest del Piano della Matrice, in uno spazio urbano fortemente qualificato e di eccezionale valore paesaggistico, a pochi passi dall'ingresso del Castello della Regina Sibilla (normanno), appartenuto alla famiglia Luna, e detto comunemente Castello Nuovo per distinguerlo dall'altro posto sul costone roccioso opposto, edificato in epoca bizantina. Lo spiazzo confina a sud con l'antichissimo quartiere Terravecchia, il più alto e antico della città. L'importanza storica del luogo è confermata dalla presenza di emergenze monumentali, che costituiscono esempi assai rari della cultura normanna siciliana.
La severità dell'espressione linguistica e la completa assenza
di qualsiasi intenzionalità decorativa rendono l'opera davvero rara nel suo genere ed estranea al clima culturale della Sicilia occidentale. Originariamente il manufatto era inserito entro la cerchia muraria; oggi è libero da altri fabbricati e occupa ormai uno spazio periferico rispetto all'attuale centro cittadino. La Chiesa del Salvatore, dalla sua fondazione ha subìto nei secoli diverse manomissioni; proprio per la sua ubicazione a pochi passi dall'ingresso dell'antico castello appartenuto alla famiglia Luna, sarà stata utilizzata, con buona probabilità, come cappella ad uso dei castellani. Dal punto di vista architettonico possiamo dire che l'impianto originario, a navata unica a pianta rettangolare, è realizzato con muratura di pietrame informe e con tetto a capanna, privo di intonaco esterno.
La porta di accesso originaria, ancora visibile, era aperta come di consueto nel lato ovest. Successivamente, in una delle tante manomissioni è stato inserito il prezioso portale di chiaro gusto Chiaramontano, lungo la fiancata sud. La sua collocazione peraltro non è stata fatta a regola d'arte, cosa evidenziata dalla cattiva sovrapposizione dei conci. La stessa simmetria del portale non è perfetta, essa risulta, infatti, sbilanciata verso destra e la stessa muratura, utilizzata per la costruzione di una parte del muro d'ambito su cui è stato inserito, è in conci isodomi mentre il resto della costruzione è fatta di muratura di pietrame informe.
L'ingresso originario (ad ovest) immetteva in un vestibolo con soppalco ligneo atto a sorreggere il coro. L'interno è un rifacimento barocco che, della originaria chiesa normanna conserva oltre alla storia un'acquasantiera a pianta ottagonale poggiante su una colonna granitica e poco altro. La navata è coperta da volta a botte, con unghie di raccordo sulle lunette del secondo ordine; è suddivisa in tre campate da archi lievemente aggettanti che si dipartono dalle paraste. Il pavimento è formato da mattonelle di ceramica maiolicata con una colorazione che dà sull'azzurro. Nella navata quattro affreschi, due per lato, raffigurano episodi della vita del Salvatore; essi sono definiti da cornici modanate in stucco. A causa dell'umidità pregressa le immagini sono gravemente degradate, come pure il motivo del falso balaustrato che compare sul parapetto del coro. La semplice superficie interna delle pareti è interrotta da una serie di paraste leggermente aggettanti che sostengono la cornice marcapiano. Il presbiterio semi circolare, leggermente rialzato è diviso dalla navata da una ringhierina in ferro battuto.
Stucchi, cornici e paraste sono piuttosto lineari e scevri da ogni eccessivo decorativismo. L'altare maggiore in muratura e legno, dedicato a Cristo Risorto, è costellato da puttini e figure sacre in stucco, di schietto gusto popolare, ormai parzialmente crollato. Dietro l'altare una porticina conduce all'attiguo oratorio, di ridotte dimensioni, unico corpo edilizio che vi si affianca, a pianta quadrata e copertura semicurvilinea che è stata la sede della Confraternita del SS. Salvatore (Sarvaturara), l'ultima sopravvissuta in attività a Caltabellotta. Tale con fraternita sfilò con i suoi tradizionali costumi bianchi per la festa di Pasqua fin verso la fine degli anni '50. Oltre a due antiche torri di epoca normanna, la torre del Martorio e la torre della Galofara, il quartiere era ricco, fino a poco tempo fa, di preesistenze che testimoniavano l'utilizzazione dell'area anche in epoca molto remota. La Chiesa è quasi sempre chiusa, tranne che nei brevi periodi delle grandi solennità religiose come la Pasqua e la tradizionale festa della Madonna dei Miracoli e del SS. Crocifisso; in essa sono custodite le tre statue processionali della Pasqua: il Cristo Risorto, la Madonna e S. Michele Arcangelo, che viene portato in spalla dai giovani del paese per quasi tutta la notte di Pasqua ad annunciare la Resurrezione oltre che per l' "Incontro".


Chiesa di Sant'Agostino
di Antonino MULE'

All'estremità orientale del paese, si affaccia sulla villa comunale la trecentesca chiesa di Sant'Agostino, con aggraziato portale del 1742 e severa torre campanaria dalle austere bifore; a destra, l'adiacente chiesetta di San Lorenzo (oggi adibita ad uso civile) espone un leggiadro portaletto tardo-gotico. All'interno di Sant’Agostino, affreschi di soggetto vetero-testamentario; nella terza cappella a destra, una Madonna del Soccorso (secolo XVI) di Antonello Gagini; è il gioiello statuario della chiesa: un grandioso gruppo policromo in cotto maiolicato della Deposizione, costituito da otto figure al naturale, capolavoro (1552) di Antonino Ferraro.


La "Passione" o il "Compianto" (Interno Chiesa di Sant'Agostino)
di Giuseppe RIZZUTI

“La Passione” è l’opera d’arte più importante di Caltabellotta e forse del territorio. Dalle notizie che ci pervengono da parte di alcuni studiosi pare che le otto statue, tutte ad altezza d’uomo, siano state realizzate attorno al 1552 da Antonino Ferraro (1523 -1609) soprannominato “Imbarracucina”, su commissione dei padri Agostiniani o dei Rettori della Confraternita di S. Lorenzo per la loro chiesa. (S. Agostino non esisteva ancora).
Era l’epoca in cui si stava passando dalle rappresentazioni animate dei “Misteri” della Passione di Cristo, sull’esempio che proveniva dalla Spagna, ai gruppi scultorei raffiguranti le singole stazioni della Via Crucis da condurre in processione come a Trapani.
Che l’opera sia stata eseguita da Antonino Ferraro alias ”Imbarracucina” lo dice Gioacchino Di Marzo, citando un documento del 1552 del notaio Antonino di Blasio, non più esistente. Questa tesi, che in verità sembra abbastanza fondata, è condivisa e portata avanti dallo studioso giulianese Antonino G. Marchese, concittadino del Ferraro, convinto che “il Compianto”, come lui lo chiama, sia “fatica” del suo illustre conterraneo. Originariamente il gruppo era stato collocato nel cappellone centrale della Chiesa di S. Lorenzo, dove è rimasto per circa quarant’anni. Solo nel 1594 le statue sono state trasferite nella cappella laterale destra della stessa chiesa, le cui pareti sarebbero state nel frattempo affrescate da Orazio Ferraro, figlio dell’autore. Lo storico saccense Ignazio Navarra, avanza alcune perplessità soprattutto sulla paternità degli affreschi. Egli sostiene che a Caltabellotta in quel periodo viveva un pittore/scultore di ottima mano, tale Pellegrino de Plazza (Pinu di Chiazza) nato attorno al 1560 allievo di Antonino Ferraro e coetaneo del figlio di questi: Orazio. Sarebbe ragionevole pensare che almeno in questi ultimi ci possa essere la mano di quel valente pittore/scultore caltabellottese del ‘500 di cui si sa poco e che pare avesse realizzato altri affreschi nella stessa chiesa di S. Lorenzo, andati perduti. Non va sottaciuta, inoltre, la tradizione popolare orale che parla di un forestiero perseguitato, ospitato dai monaci agostiniani che allora vivevano nel convento di S. Agostino attiguo alla chiesa di S. Lorenzo, che avrebbe eseguito l’opera gratuitamente e di notte quale ricompensa per l’ospitalità che riceveva. Tale leggenda racconta anche che le statue, realizzate in argilla e tutte intere, sarebbero state allestite e cotte in sito. Pare invece che le terrecotte siano state modellate a pezzi e assemblate successivamente. Come possiamo notare le incertezze sull’esecuzione dell’opera non sono poche. Vale la pena soffermarsi un attimo sulla disposizione scenografica originaria dell’opera, intensamente drammatica, che vede il Cristo morto deposto fra le braccia di Maria sua madre attorniata da Giovanni, dalla Maddalena e da due Pie Donne. Più in avanti sono disposti Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che secondo alcuni studiosi rappresenterebbero i volti dei committenti dell’opera stessa. Tutte le statue, a grandezza naturale, sono molto espressive e denotano una notevole abilità dell’artista che le ha modellate.
Sicuramente l’antica collocazione nel cappellone di S. Lorenzo, molto più largo e con lo sfondo scenografico degli affreschi raffiguranti l’ambiente del Calvario, con i due ladroni sulle croci e tutto il paesaggio circostante, era migliore. Purtroppo nei primissimi anni ’60 la chiesa di S. Lorenzo versava in un profondo stato di abbandono.
 Questa fu la ragione che spinse i componenti della Confraternita di S. Lorenzo, che ivi aveva la sua sede, a portare avanti l’iniziativa del trasferimento di tutto l’insieme nell’attigua e frequentatissima chiesa di S. Agostino, anche se in uno spazio più ristretto.


Chiesa della Pietà
di Giuseppe RIZZUTI

Incerte sono le notizie sulla fondazione di questo piccolo gioiello di architettura rupestre, incastonata fra le rocce del Kratas in una splendida posizione panoramica, nella parte alta del centro urbano di Caltabellotta e ai margini di un’importantissima zona archeologica ancora tutta da studiare.
Si tratta di uno dei più antichi luoghi di culto cristiano presenti in questo territorio. Vi si accede attraverso gradini intagliati nella roccia. Nella rupe sottostante si aprono una serie di antichi vani di grande interesse archeologico ed è facilmente intuibile che tanto essi che la chiesa dovessero far parte di un “unicum”, verosimilmente bizantino, probabilmente monastico con religiosi quasi certamente Basiliani.
Il posto è incantevole e si può raggiungere facilmente dalla strada panoramica che si snoda a nord dell'abitato, attraverso il passaggio naturale esistente nel complesso roccioso che sovrasta il centro cittadino, comunemente chiamato "malupirtusu" o, a piedi, percorrendo stradine del centro storico.
La chiesetta è formata da due parti ben distinte: ovviamente la più antica è la rupestre mentre la parte esterna, la moderna, è contraddistinta dalla classica forma a capanna con il piccolo campanile seicentesco, molto semplice e ingentilito dalla vela campanaria dal disegno elegante.
Nel corso dei secoli la chiesa ha subìto diverse manomissioni; fino alla metà del XIX secolo era arricchita da una porta in stile gotico e dotata di un vestibolo. Attualmente l'ingresso è caratterizzato da una porta, con architrave arcuato in conci di pietra squadrata, sormontata da una finestra di forma ottagonale.
La zona presbiteriale, aggiunta in età moderna, è separata dall'unica aula a forma di ventaglio (tipico dei Basiliani) mediante archi finti sorretti da due colonne monolitiche in pietra. Nella parte centrale un moderno altare in pietra, opera dello scultore Salvatore Rizzuti, inserito a seguito dell’ultimo restauro (1998), si appoggia alla parete di fondo dove è scavata una nicchia con statua della Pietà di incerta fattura.
Sulla destra vi è la traccia di un affresco molto deteriorato che raffigura l'effigie di San Cono con accanto un incavo quadrato probabilmente utilizzato per la conservazione di arredi sacri; a sinistra si legge nella roccia il segno di un altare molto arcaico adorno di piccole conche.
Sia la presenza di San Cono sia la parte scavata nella roccia riportano tutto il complesso al periodo paleocristiano e probabilmente bizantino, considerato che a Caltabellotta a qualche centinaio di metri da qui vi è il luogo, ove visse e morì S. Pellegrino e dove sicuramente continuarono a vivere i suoi successori.


Chiesa dei Cappuccini
di Antonino MULE'

Discendendo per la strada panoramica e percorsa la via Roma, si raggiunge, alla periferia meridionale del paese, la chiesa di San Francesco d'Assisi, appartenuta allo scomparso convento dei Cappuccini (fondato nel 1614), che esibisce una lineare facciata cuspidata con portale architravato. Interessanti testi­monianze d'arte al suo interno residuano dell'intensa vicenda monastica del passato: nell'unica navata si ammira una grande pala di fra' Felice da Sambuca (seconda metà del secolo XVIII), raffigurante la Madonna col Bambino e ai piedi Santi e frati Cappuccini in ado­razione; nella cappella di fronte, un monumentale altare in noce, fitto di intagli e di sculture, insigne prodotto di ebanisteria cappuccina del primo '700, custodisce in una grande urna le reliquie di Sant’Onorato; sull'altare maggiore, c'è uno splendido crocifisso ligneo della medesima epoca.


Chiesa del Carmine
di Antonino MULE'

Nella piazza Umberto I, dunque, è la Matrice o Chiesa del Carmine: emerge sull'invaso con la sobria facciata cuspidata, appena ravvivata dai conci a facciavista sui quali si articola il portale a piattabanda di disegno rinascimentale; appartenuta in passato al convento dei Carmelitani, esisteva già prima che nel 1575 vi si stabilissero i religiosi. Della metà del nostro secolo sono i restauri, che hanno conservato il prospetto e interessato all'interno la profonda navata, aperta a destra e a sinistra su sei cappellette; geometrici decori ornano la volta a botte, esaltando nel loro frigido rigore una bella serie di tempere con scene della Sacra Famiglia, del contemporaneo L. Messina. Nel presbiterio, sull'altare, sovrasta una Madonna delle Grazie (1534) di Antonello Gagini, all'interno di una nicchia indorata, eseguita dal figlio Fazio.


Chiesa del Collegio
di Giuseppe RIZZUTI

La chiesa del Collegio presenta una facciata in muratura, liscia e cuspidata, delimitata agli angoli da due paraste angolari. Il suo portale, pure in calce, con piccole mensole. Alla sinistra della facciata sorge una torretta campanaria con una piccola campana La chiesa, lateralmente, è provvista di alcune alte paraste poco aggettanti che fanno pensare ad una manomissione avvenuta nel secolo XVIII. La porta d'ingresso è intagliata. Nella sua parte alta trovano posto dei serafini, in basso dei rosoni L'interno è ad una navata con sei cappelle affondate sui lati. Nella chiesa si trovano la statua di San Francesco di Paola (detto il Santo Padre), che una volta si trovava in San Francesco di Paola, e la Madonna della Melagrana. Santo Espedito, La Madonna dormiente o Assunta , San Benedetto che una volta si trovava nella chiesa di San Benedetto oggi ruderi poi trasferito alla Cattedrale . Sorge nella parte settentrionale in via botteghelle (Li putieddi) recentemente restaurata.


Chiesa dell'Itria
di Giuseppe RIZZUTI

La Chiesa dell’Itria sorge nel cuore del centro storico di Caltabellotta e presumibilmente il suo primo impianto si può far risale tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento, in quanto trattasi di una costruzione aderente ai canoni costruttivi dettati dal Concilio di Trento (1545 - 1563). Originariamente doveva essere dedicata alle Anime Purganti, per come si evince dalle figure scolpite sul medaglione lapideo posto sul frontale.
E’ molto probabile che la struttura abbia subito il crollo della volta e sia caduta in disuso fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando è stata ristrutturata ad opera del sacerdote caltabellottese don Giacomo Grisafi.
Dall’esterno si presenta piuttosto imponente con il suo prospetto cuspidato che svetta nel piccolo spiazzo antistante. Pregevole il portale con quattro colonne tortili, che sostengono altrettanti capitelli corinzi su cui poggia un architrave sovrastato da due spirali e un medaglione con al centro le immagini di un’anima purgante e un serafino. Il portone ligneo, finemente scolpito, è opera degli intagliatori locali Girolamo Campo e Giuseppe Nicolosi. La vista di tutto l’insieme, racchiuso fra due imponenti paraste, è particolarmente suggestiva.
All’interno delle cappelle vi sono posti S. Antonio da Padova, l’Angelo Custode, l’Ecce Homo, S. Rita, il Crocifisso, la Sacra Famiglia, il fonte battesimale; mentre il gruppo scultoreo dei due vecchioni è sistemato sul lato destro dell’abside di fonte all’organo.
Notevoli sono i dipinti su tela di forma circolare collocati sull’abside e sulla volta raffiguranti gli apostoli. Al centro della volta vi sono rappresentate invece l’Annunciazione, il Matrimonio della Vergine e l’Incoronazione di Maria mentre sull’altare maggiore è posta l’Immacolata Concezione. Degni di attenzione sono gli stucchi realizzati dall’abile artigiano Bernardo Sesta che proprio durante la loro realizzazione perse la vita (1885), a seguito di una caduta dall’impalcatura, e fu sepolto dentro la cripta.
Nella Chiesa dell’Itria vengono svolte diverse manifestazioni religiose, la più importante delle quali è la festa dell’Immacolata, alla fine della quale viene bruciato un pupazzo di paglia, ogni anno di foggia diversa, raffigurante “lu diavulazzu”, tradizione plurisecolare che probabilmente voleva essere un rito propiziatorio per una buona annata agraria. Nella stessa chiesa vengono festeggiati S. Antonio da Padova, l’Angelo Custode e recentemente si è aggiunto il culto di S. Rita.


Il Santuario di Montevergine (Fraz. Sant'Anna)
di Giuseppe RIZZUTI

Questa volta vogliamo soffermare la nostra attenzione su un monumento particolarmente significativo di questa zona. Si tratta dell’Eremo di Santa Maria di Montevergine, situato ad oriente appena fuori l’abitato di S. Anna, che si adagia su di uno sperone di roccia ai piedi del Kratas a circa 340 mt. sul livello del mare, poco distante dal fiume Verdura.
Fu edificata da Francesco Alliata, principe di Villafranca, che nel 1624 fece costruire un villaggio, cui diede il nome di Sant’Anna. Il suo territorio é intriso di leggende e di storia che s’intrecciano inevitabilmente con quelle della vicina Caltabellotta.
Le origini del primo insediamento monastico nella zona di Montevergine si fanno risalire fra il V e l’VIII secolo, quando a seguito delle invasioni dei Vandali dell’Africa settentrionale i seguaci di S. Agostino, che ivi era nato, vissuto e morto, giunsero in Sicilia. Pare che alcuni si siano fermati da queste parti vivendo nelle grotte, come normalmente facevano gli eremiti. Nei pressi di S. Anna esistono, infatti, caverne d’epoca preistorica, che nel tardo Medioevo furono abitate da questi anacoreti. La più importante é quella che si trova nel promontorio di S. Giorgio,
di fronte alla Chiesa di Montevergine, detta non casualmente “grotta del monaco”. (I toponimi spesso riescono a sopperire alla mancanza di documenti.)
La fondazione della prima struttura conventuale si fa risalire però attorno alla metà del IX secolo e gli agostiniani vi rimasero fino al 1154, epoca in cui si trasferirono nella vicina Caltabellotta, quasi certamente a causa di un incendio che l’avrebbe distrutta e di cui sono state trovate tracce durante i lavori di restauro. Successivamente il sito divenne un Priorato di monaci Basiliani, provenienti dalla Grecia.
Dal punto di vista architettonico il complesso monumentale è contraddistinto da una edilizia semplice, come quella che caratterizza una certa parte delle strutture della Sicilia conventuale, ma un recente restauro ne ha nobilitato l’insieme costruito.
La chiesa è ad una sola navata con tre altari per lato poco profondi; notevoli e tutti da scoprire gli affreschi che sono venuti alla luce durante l’ultimo restauro. Al suo interno sono conservati alcuni capitelli ritrovati nella zona, pare appartenenti alla non più esistente chiesa di S. Giorgio, da cui sembra sia stato tratto anche il portale ogivale decorato e rozzamente manomesso da manovalanza priva di quella sensibilità necessaria per coloro i quali si accingono a restaurare un monumento o parte di esso.
Montevergine, composto dalla chiesa e dall’eremo annesso, è ubicato a ridosso della zona archeologica di Troccoli, deformazione del toponimo originario Trokalis che secondo recenti studi portati avanti da Luciano Rizzuti, dovrebbe trattarsi della seconda fase di Triokala quando si chiamò appunto Trokalis, da cui l’attuale toponimo.
L’Eremo, affiancato per intero sul lato destro della chiesa, è distribuito su due elevazioni: a piano terra, sono locali non molto ampi, adibiti per i lavori dei frati, nel piano superiore sono dislocate le celle e il piccolo campanile. Il tutto è inserito in un contesto paesaggistico straordinario. Il complesso è arricchito, inoltre, da una fontana di forma circolare alimentata costantemente da una sorgente, che porta refrigerio a visitatori e passanti.
L’Eremo di Montevergine per la comunità santannese è un luogo molto importante e riveste un grande valore religioso e fortemente simbolico d’identificazione della memoria collettiva. È qui che si trova un crocifisso ligneo quattrocentesco veneratissimo da tutta la comunità e la cui solennità religiosa, che si svolge con riti particolari e suggestivi, costituisce la festa più importante della comunità.
Tale crocifisso, situato sull’altare maggiore, secondo la tradizione pare sia stato dipinto sulle tavole del letto di S. Brigida e sia stato portato dall’Africa dai seguaci di Sant’Agostino.
In questa località i segni delle civiltà passate sono ancora tutti presenti, né il tempo né l’uomo hanno potuto cancellarli; sono scolpiti sulle rocce che fanno da sfondo scenico al paesaggio, sono impressi nella campagna circostante.
Dal punto di vista storico queste contrade pare che siano state teatro di fatti importantissimi dell’antichità legati sia alla seconda guerra servile, fra il 103 ed il 99 a.C., che al lungo e aspro assedio di Ruggero il Normanno nel 1090, dopo l’espugnazione di Agrigento.
Vuole la tradizione che a Ruggero durante il combattimento sia apparso sopra un cavallo bianco S. Giorgio, ornato di una splendida veste, intervenne in aiuto al condottiero normanno. In memoria della vittoria ottenuta, il conte elesse suo protettore S. Giorgio e ornò il suo scudo con l’immagine del santo e in seguito fece costruire la chiesa di S. Giorgio di Trokalis (Troccoli).
A proposito di quest’ ultima vale la pena riportare l’ aneddoto trasmessoci dallo storico sambucese Giuseppe Giacone: “In detta chiesa era una statua equestre di detto Santo. Or è costante tradizione, tramandata da remota antichità, che taluni villani sambucesi, ivi recatisi per lavori campestri, vista la crollante chiesa che da un giorno all’altro andava in rovina, adocchiarono quella statua e mal soffrendo che rimanesse in quel vetusto edificio rovinato, nottetempo la involarono e la trasportarono in questa Chiesa di S. Giorgio (in Sambuca), per come tuttavia si venera.”
In verità la statua equestre attualmente si trova all’interno della Chiesa di S. Michele, a poche decine di metri dal Municipio di Sambuca.


Chiesa di San Pellegrino (Fraz. Sant'Anna)
di Antonino MULE'

Nel centro della frazione di Sant'Anna, è dedicata al primo vescovo di Triokala questa singolare chiesa che offre da vedere numerose opere d'arte al suo interno.


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